#Lunigiana #17

MIGRANTI VECCHI E NUOVI

Il progetto In Villafranca in Lunigiana verte sulla memoria storica (non a caso Memoria locale si chiama l’archivio fotografico nel quale confluiranno tutte le foto storiche raccolte).

Ma gli italiani, si sa, hanno la memoria (storica) corta.

Ultimamente, ad esempio, si fa un gran parlare di migrazioni e di migranti, immigrati, rifugiati (termini che troppo spesso si confondono colpevolmente). Parole sulla bocca di tutti, a sproposito o meno, e che, ci avete mai pensato? Hanno fatto dimenticare termini come “extracomunitario”, così di moda qualche tempo fa, o “emigrante”.

Ma il nostro lavoro qui è appunto riesumare e spolverare la memoria storica, eccoci quindi a rispolverare la parola emigrante.

La Lunigiana è terra di emigranti. Quale famiglia non ne ha? Solo nella mia, per parte materna ho un nonno emigrato in Svizzera, una zia emigrata a Londra, zia e cugini emigrati in Francia, per parte paterna non so più quanti parenti emigrati in varie parti d’Italia e del mondo (zii e cugini nel bergamasco, nel torinese, cugini in Calabria, zii e babbo emigrati a suo tempo in Svizzera, zii e cugini negli Stati Uniti) tra cui… me medesima.

Nel dopoguerra, quando i tempi, i costi, i mezzi e le difficoltà di viaggio erano ben altre, si parlava di emigrazione anche per i trasferimenti da una parte all’altra d’Italia.

Per l’andare in barsana per intenderci. Ci si andava a piedi, sull’asino, con passaggi di fortuna, su un carretto o nel cassono scoperto di un camion. Anche a vendere si andava a piedi, con la cesta, la gerla o un carretto. Si bussava alle porte, si gridava la propria mercanzia. Nella mia famiglia gira da anni l’aneddoto su zio Valentino (che poi si chiamava Pietro) che per attirare clienti un giorno si mise a gridare “Torrone di Cremona!!” anche se vendeva, come tutti gli altri, calzini e biancheria.

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(foto dal libro di Adriana Dadà)

Grazie ai barsan pontremolesi, che nella gerla portavano i libri, nasce il Premio Bancarella.

Quanto della nostra identità di lunigianesi è dovuto all’emigrazione dei nostri padri e dei nostri nonni?

Grazie a una ricerca condotta dagli amici di Ciao Lunigiana apprendo che, all’inizio del Novecento, fu proprio un immigrato lunigianese ad aprire la prima gastronomia italiana di Londra (l’articolo qui).

“The man from Lunigiana who founded Lond... Italian delicatessen | Ciao Lunigiana”

(foto da Ciao Lunigiana)

Ma l’emigrazione naturalmente era anche quella che portava verso lidi ben più lontani, facendo anche attraversare gli oceani.

Proprio in questi giorni scopro che un gruppo di giovani brasiliani e argentini sono approdati in Lunigiana sulle tracce dei loro nonni e bisnonni emigrati in Sudamerica (qui gli articoli de La Nazione e dell’Eco della Lunigiana).

“Da Argentina e Brasile per studiare tur...o Tosco Emiliano L'eco della Lunigiana”

(foto da l’Eco della Lunigiana)

Forse è proprio il richiamo del sangue degli avi emigranti, la memoria dei loro fortunosi viaggi verso l’ignoto, della loro fatica nell’affrontare le durezze di una vita che non regalava niente ad aver spinto alcuni giovani uomini e donne per le strade di Pontremoli in supporto dei nuovi migranti.

“Pontremoli, in duecento per lanciare un...nigiana Lunigiana - Citta della Spezia”

Perché la storia è storia, la storia è scritta, non si può cambiare, non cambia con le opinioni o le tifoserie politiche, e la storia dice che NOI siamo migranti figli di migranti, la migrazione è parte della nostra identità, tra NOI e LORO, tra migranti vecchi (noi) e nuovi (loro) quindi non c’è tutta questa differenza.

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